La società attuale è caratterizzata da un’interconnessione globale nata grazie al web, al progresso tecnologico e a legami socio-economici. Possiamo comunicare con persone che stanno dall’altra parte del pianeta in tempo reale; inoltre i mezzi di trasporto moderni hanno accorciato i tempi, facilitando lo spostamento di merci e persone. In questo mondo la gente è in grado di rapportarsi con gli altri in modo più semplice, e ciò è indiscutibile, tuttavia sorge una domanda inquietante: come mai a volte ci si sente così alienati? In questo articolo tratteremo gli aspetti dello stile di vita contemporaneo e gli effetti psicologici che questo induce nelle persone, non prima però di aver fornito le premesse storiche che hanno posto le basi della società occidentale. Per questioni di brevità, prenderemo in considerazione esclusivamente la prospettiva del mondo occidentale, ma ci sarebbe tantissimo da dire in merito ad altre culture e tradizioni storiche.
La connessione nella storia
Oggigiorno si è probabilmente portati a pensare che nei tempi passati fosse difficile viaggiare e comunicare con persone che vivevano in altri Stati, se non anche in altre città. Niente di più sbagliato, infatti fin dall’antichità l’essere umano intraprendeva viaggi, sia via mare che via terra, con l’intento di trovare nuove terre in cui insediarsi, rotte commerciali e relazioni con altre civiltà. Già allora era presente un legame tra i popoli, i quali riuscivano a comunicare senza internet o altri mezzi tecnologici complessi.
Gli imperi come unione di popoli
I primi esempi di mondo interconnesso e globalizzato, limitandoci all’occidente, furono gli imperi instaurati dalla civiltà greca prima e romana poi. Queste istituzioni nascevano, in seguito a numerose guerre e conflitti sanguinari, con l’intento di espandere il proprio potere, accumulare ricchezze e trovare nuovi mercati. Per quanto gli intenti fossero prettamente materialistici, portarono anche effetti positivi, come quello di far incontrare culture diverse e condividere conoscenze e tradizioni che altrimenti sarebbero state relegate ad una piccola parte di popolazione. Si pensi alle conquiste arabe in Europa durante il Medioevo che hanno regalato opere d’arte e sapere straordinari.
Le origini del mondo globalizzato
Un prototipo di globalizzazione era presente già nel 1500; in seguito alla scoperta dell’America, si avviò un mercato intercontinentale di merci e schiavi. Ma fu solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo che si verificò quella che noi attualmente chiamiamo globalizzazione. Questo termine indica un processo di integrazione dei rapporti economici su scala mondiale e una crescente dipendenza dei mercati nazionali da quelli internazionali. A fine ottocento si realizzò dunque una prima globalizzazione di stampo moderno grazie agli sviluppi tecnologici della rivoluzione industriale e dei trasporti. Divenne così possibile scambiare un numero maggiore di merci in un tempo minore e, per i lavoratori, spostarsi in luoghi sempre più distanti.
Conflitti e globalizzazione
Le due guerre mondiali del secolo scorso limitarono questa mondializzazione, che riprese a partire dagli anni ’50 con il mondo suddiviso in due blocchi, i quali scomparvero poi negli anni ’90 con il crollo dell’Unione Sovietica. L’URSS, ossia l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, agì da freno nei confronti dell’avanzata della globalizzazione pur essendo anch’essa pienamente a favore dello sviluppo tecnologico senza limiti: ne è prova la corsa verso lo spazio che la vide competere con gli Stati Uniti.
La globalizzazione contemporanea
Un’economia internazionale permette di impiegare materie prime non disponibili su un determinato territorio, di disporre di un gran numero di beni provenienti da tutto il mondo e di abbattere i costi di produzione così da ottenere prodotti più economici. Ma non tutti sono sempre stati a favore della globalizzazione: nell’ultimo decennio del XX secolo e nei primi anni del XXI secolo ci furono movimenti, come quello dei cosiddetti no-global, che si opponevano ad essa, accusando le multinazionali di sfruttare il lavoro, anche minorile, nei Paesi arretrati, di inquinare l’ambiente, di limitare la sovranità e l’autonoma delle istituzioni locali e di favorire guerre.
La globalizzazione informatico-telematica
Oggi la globalizzazione investe non solo il campo economico, ma anche quello dell’informazione e dei mezzi di comunicazione. Strumenti come Internet hanno reso possibile l’abbattimento dei confini nazionali, la comunicazione e la diffusione di notizie in ogni dove. La rete telematica internazionale produce però anche effetti negativi, come l’eccesso di informazioni, non sempre veritiere, e l’esposizione ai minori di contenuti non appropriati. Per tale ragione è necessario un suo uso consapevole e sostenibile.
Relazioni internazionali e tecnologia
Lo stesso sviluppo tecnologico non sarebbe stato possibile in una società chiusa senza scambi di opinioni. Ad esempio, molto probabilmente Johannes Gutenberg non avrebbe potuto introdurre la stampa in occidente nel 1455 se non avesse avuto a disposizione la carta inventata in Cina nel 105. Galileo Galilei nel 1609 riuscì a costruire il primo telescopio grazie agli studiosi che precedentemente avevano analizzato il funzionamento delle lenti.
Le scoperte alla base dei device tecnologici
Molte scoperte attuali e strumenti tecnologici di uso quotidiano nascono proprio dall’interazione fra inventori originari di luoghi diversi, dalla riscoperta di tecnologie cadute nel dimenticatoio, nonché dall’unione di varie innovazioni nate per scopi differenti.
Senza l’aiuto del telettrofono inventato nel 1854 da Antonio Meucci, Alexander Graham Bell forse non sarebbe riuscito 12 anni dopo a brevettare il telefono. E, se non fosse stato per l’invenzione dei microchip avvenuta nel 1958 grazie a Jack Kilby, non sarebbe stato possibile creare i computer né gli smartphone. Questi oggetti, che oggi sembrano essere diventati imprescindibili, provengono proprio dalla fusione di numerose tecnologie antiche e moderne.
La velocità e il concetto di viaggio
L’automobile, un mezzo indispensabile per molti, a partire dalla sua nascita a fine ‘800 cambiò lo stile di vita dell’umanità. Distanze prima lunghissime e raggiungibili dopo giorni di viaggio, ora durano qualche ora. Un risparmio di tempo ed energie notevole, certo, ma a che prezzo? Non solo in termini ambientali, cioè dovuti all’inquinamento prodotto da più di un miliardo di macchine attraverso la combustione di idrocarburi e lo smaltimento delle loro batterie, ma anche nel modo di vivere le città e la mobilità. Un tempo i lunghi spostamenti erano esperienze straordinarie, vissute alla stregua di vere e proprie avventure, si pensi alle opere di letteratura di viaggio come l’Odissea di Omero o il Milione di Marco Polo. Il viaggio a volte veniva percepito come un’esperienza spirituale, infatti molti si spostavano per pellegrinaggi in luoghi di culto con l’intento di avvicinarsi a Dio, altri per visitare svariate nazioni con lo scopo di conoscerne la cultura e aumentare la propria consapevolezza. Oggi il viaggio viene visto solamente in funzione del tempo necessario per spostarsi da un punto A ad un punto B, senza gustarsi una pausa in qualche locale per conoscere la gente o le prelibatezze del luogo, arricchendo così il proprio bagaglio culturale.
L’automobile: un primo esempio di tecnologia totalizzante
Non solo il concetto di viaggio è cambiato, ma anche quello di città. Un tempo gli insediamenti urbani erano pensati per le attività e la vita delle persone; la gente poteva passeggiare tranquilla e i bambini giocare senza correre pericoli. Oggi invece i centri abitati sono un groviglio di strade su cui le automobili circolano prepotentemente a tutte le ore, di piazze trasformate in parcheggi, di vicoli un tempo pedonali diventati stretti tuguri senza marciapiedi. Questo succede specialmente in Italia, in cui vie strette costruite in tempi antichi per il passaggio di persone e piccoli carri sono state aperte ai mezzi motore, senza possibilità per le persone di percorrerle a piedi o in biciletta in sicurezza. Ci si riempie la bocca di retorica incentrata sul rispetto, l’inclusività e l’equità, ma non di rado si ha la sensazione che la legge del più forte sia ancora alla base dell’agire umano. Ma non dappertutto è così, ad esempio, molte città spagnole sono state progettate permettendo a tutti di usufruirne, larghe strade a più corsie sono fiancheggiate da ampissimi marciapiedi e piste ciclabili. Qui la strada viene pensata nel suo complesso come luogo di passaggio e di incontro, per tutti gli utenti e non solo per quelli che corrono sui mezzi a quattro o più ruote.
La tecnologia nella società moderna
Gli strumenti tecnologici che un tempo aiutavano l’essere umano solo in determinate attività, per esempio il telefono solo quando si doveva contattare una persona o il computer quando si doveva lavorare su una grande quantità di dati, oggi permeano ogni singolo istante della vita. Ciò spinge le persone a vivere con i propri dispositivi sempre a portata di mano, non rendendosi conto che le stesse attività si potrebbero svolgere in maniere persino più pratiche ed efficienti se solo ci si ricordasse come fare.
Smartphone life: amici, like e follower
È sempre più consueto camminare per strada e vedere gente immersa nei propri apparecchi, osservando la realtà attraverso uno schermo senza accorgersi di quello che invece le accade intorno (pericoli compresi). Fino a qualche anno fa, ad esempio, quando si viaggiava sui mezzi pubblici si vedevano persone leggere libri o giornali, conversare tra loro, guardare fuori dal finestrino, mentre oggi la maggioranza di esse viene letteralmente assorbita dagli smartphone. Ma cosa le induce a fare ciò? Molti sostengono che lo fanno per rimanere informati su ciò che accade nel mondo e per contattare gli amici. Viene da chiedersi come interpretino i rapporti umani; per loro avere un amico significa condividere post e like sui social media, scrivergli un messaggio frettolosamente, oppure chiamarlo nei più disparati momenti della giornata mentre si è distratti da altre attività?
Le relazioni interpersonali oggi
Non solo i nativi digitali, i quali non hanno mai fatto esperienza di un mondo diverso, ma anche le persone più mature sembrano preferire le interazioni virtuali agli incontri faccia a faccia, tant’è che quand’anche si incontrano con conoscenti non riescono a staccarsi dal telefono, abbandonando frequentemente la conversazione per controllare cosa accade online, come se la persona davanti a loro fosse la vera distrazione. Molti sembrano non dare più valore a quei rapporti reali, nati da una profonda conoscenza dell’altro, da dialoghi e discussioni e dal confronto vis-a-vis, in cui era possibile comunicare anche solo attraverso uno sguardo o un gesto. Così “presi” dalla virtualità da non ricordarsi più com’era prima, quando non si era sempre connessi e raggiungibili e per parlare con una persona serviva uno sforzo effettivo.
Vivere o condividere?
Mentre un tempo la gente non possedeva cellulari e non era reperibile 24 ore al giorno, ma solo in determinati momenti, oggi, a causa di questi, è sempre connessa ad internet. La maggioranza passa il tempo a scorrere distrattamente ciò che accade sui social network, condividendo a sua volta foto o pensieri della propria quotidianità. Questo bisogno insano di condividere e mettersi in vetrina con l’obiettivo di ottenere l’approvazione degli altri o scatenare invidia distoglie le persone dal momento presente e impedisce loro di goderselo appieno con la massima intensità, senza interruzioni. Pensateci, i momenti veramente speciali e indimenticabili non hanno bisogno di foto o altro affinché rimangono indelebili nella nostra memoria.
L’amore ai tempi dello smartphone
Molti individui, oggi, per costruire nuovi rapporti e fare nuove amicizie sfruttano i dispositivi tecnologici, tramite l’utilizzo di chat e applicazioni, perché pensano che questo sia il metodo più semplice. Intrattenere relazioni filtrate da uno schermo e a intermittenza a seconda della disponibilità, non è un modo salubre di viverle, in quanto si perdono sia la spontaneità che le emozioni travolgenti che si sperimentano quando ci si trova davanti ad una persona che suscita il nostro interesse. Nonostante ciò, molti giovani preferiscono i rapporti virtuali anche se questi ultimi li portano a condurre un’esistenza alienante che arriva, paradossalmente, persino a farli sentire soli pur essendo sempre connessi.
Pandemia e tecnologia
Soprattutto a partire dal 2020, a seguito della pandemia da covid-19, le persone hanno iniziato a vivere in una bolla, temendo il contatto e il confronto con gli altri. Tale indole era già presente in loro, infatti la digitalizzazione era imperante anche prima di quella data e la tendenza a vivere sui social si faceva strada velocemente, ma questo evento ha dato il via alla sua realizzazione ultima, palesando l’effetto negativo dell’essere sempre connessi in tutta la sua potenza.
Nella vita virtuale: leoni; nella vita reale: pecoroni
Gli individui che prima cercavano di essere amici di tutti, condividendo esperienze, pensieri, e volendo essere parte di una community, o meglio di un gregge, durante la pandemia hanno mostrato il loro lato oscuro. Grazie alla protezione fornita dal mezzo tecnologico e all’impossibilità di un confronto diretto e presenziale, si sono trasformati in accusatori, censori e delatori, additando aggressivamente come nemico chiunque la pensasse in modo diverso.
Forti con i deboli, deboli con i forti
Da pecora a lupo, ma pur sempre parte di un gregge o di un branco.
I social media hanno la capacità di andare a stimolare dinamiche psicologiche ancestrali che ci rendono simili ai membri di un branco o gregge, riuscendo al contempo a spegnere l’individualità e il pensiero critico. Quel falso senso di sicurezza generato dal sentirsi parte di un gruppo più grande, seppur virtuale, sembra dunque tirare fuori il peggio dalle persone, imponendoci una riflessione più profonda sul vero significato e sull’utilità di questi strumenti di condivisione.
La paura verso l’estraneo e il piccolo mondo virtuale
Pur essendo quello della pandemia oramai un ricordo lontano, oggi le persone continuano a guardarsi con diffidenza, avendo paura dell’estraneo, il quale potrebbe infettare e fare del male. La sfiducia generalizzata dilaga e scambiare una parola con qualcuno per strada, o un sorriso, diventa quasi impossibile. La tecnologia e la paura, insieme, hanno ingabbiato ancora di più l’essere umano in una bolla illusoria in cui esiste soltanto ciò che si vuole vedere: tutto il resto semplicemente non c’è, oppure lo si ignora volontariamente, magari andando pure orgogliosi della propria ignoranza. Già, perché i social e gli smartphone, un binomio indissolubile, spronano chiunque ad esternare la propria opinione, anche laddove non richiesta.
Il proprio ruolo nella società
La gente preferisce vivere una vita immaginaria, che parte dal mondo reale ma che si estende nella virtualità; tutto ciò per presentare un’immagine di sé migliore e sfruttare la tecnologia per ritagliarsi un ruolo diverso da quello che la società le ha attribuito. Questo fenomeno è un evidente segno di insoddisfazione e di incapacità di creare un’esistenza basata sui principi solidi e valori morali personali, poiché si preferisce scegliere quelli della collettività, anche se non si percepiscono come autentici. Per quanto le persone vogliano uniformarsi a certi dogmi imposti dalla comunità, conserveranno sempre nel loro intimo una certa unicità. Alcuni sogni ed ambizioni semplicemente non possono trovare consenso da parte della maggioranza, rappresentando l’essenza della nostra individualità e del nostro modo di essere. Ricercare la costante approvazione del pubblico finisce per banalizzare e uniformare ogni cosa, nel bene e soprattutto nel male.
Conclusione
In questa disamina abbiamo illustrato a grandi linee il cambiamento che la tecnica ha apportato alla società attuale, comparando certi aspetti, quali le relazioni internazionali, la comunicazione e il viaggiare, nella vita dell’uomo antico e in quella dell’uomo contemporaneo. È emerso che, mentre un tempo gli strumenti tecnologici aiutavano le persone solo in determinate occupazioni, oggi le rendono talmente dipendenti da non riuscire più ad immaginare una vita priva di essi. La digitalizzazione ha creato un mondo più agile e apparentemente più piccolo, facilitando sia l’ambito della comunicazione che quello del commercio, ma allo stesso tempo ha generato un paradosso, facendo sentire alienate le persone pur essendo sempre connesse e in contatto con tutti.
Gli individui dovrebbero fare un uso cosciente della tecnologia, lasciando che essa rimanga un mero strumento nelle loro mani ed evitando che si sostituisca alla loro volontà. Nel momento in cui gli algoritmi guidano le scelte e i comportamenti umani la tecnologia non è più un mezzo, ma diventa un fine esistenziale. Il filosofo Immanuel Kant propugnava l’idea che l’umanità dovesse sempre mantenere un ruolo centrale ed essere trattata come fine, mai come mezzo. Forse i pensatori del passato non potevano sfruttare le potenzialità offerte da internet e dagli smartphone, ma non erano certamente degli sprovveduti e comprendevano la natura umana molto meglio di chi, oggi, si affida a wikipedia o a facebook per ottenere risposte.
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